Dittico

Giovedì 27 aprile 2023 alle ore 18 inaugurerà presso la Galleria d’Arte Marchetti di Roma la mostra NOTARGIACOMO – ASDRUBALI . Dittico, aperta fino al  24 giugno.

Fra i primissimi artisti a cui la Galleria Marchetti dedicò una mostra personale, nel 1998, pochi mesi dopo la sua apertura, Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945) e Gianni Asdrubali (Tuscania, Viterbo, 1955), legati da una lunga amicizia e dalla condivisione di alcune esperienze di ricerca, si confrontano in una doppia personale, con opere dagli anni ’80 ad oggi.

Catalogo Edizioni Grafiche Turato, a cura di Silvia Pegoraro

E’ una lunga amicizia quella che lega Gianfranco Notargiacomo e Gianni Asdrubali, che li ha anche portati a realizzare insieme –  prima di questa –  due doppie personali: Amici come sempre, alla Galleria Miralli di Viterbo, nel 1990, e Artisti come sempre, alla Galleria Arte e Pensieri di Roma, nel 2005.

Un divario generazionale di dieci anni esatti separa il più anziano Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945) dal più giovane Gianni Asdrubali (Tuscania, Viterbo, 1955).

Nel 1981 quest’ultimo, ancora agli esordi (quella che è considerata la sua prima opera, Muro magico, è del ’79), contattò, per mostrargli il proprio lavoro, Notargiacomo, artista già affermato, che aveva già partecipato a mostre importanti come Magico Primario (a cura di Flavio Caroli) e lavorava con illustri gallerie romane quali La Tartaruga di Plinio De Martiis e La Salita di Gian Tomaso Liverani.

D’altra parte, la forza e l’originalità della ricerca di quel giovane di Tuscania conquistarono l’artista romano, che decise di favorirne i rapporti con il mondo dell’arte e la collaborazione con istituzioni artistiche pubbliche e private, iniziando così a cementare un rapporto  che dura a tutt’oggi, benché i loro percorsi artistici si siano sviluppati secondo direzioni diverse, per tanti versi contrastanti.

Si tratta comunque di due grandi out-sider, impegnati negli anni ‘80 a combattere le derive entropiche del postmodernismo, più o meno dominate dall’inclinazione verso il figurativo.  Entrambi percorrono un cammino molto personale, segnato da un’indiscutibile originalità, in una dimensione in cui le caratteristiche individuali prevalgono sull’appartenenza, più o meno coinvolgente, più o meno sostanziale, a tendenze e movimenti (la Post astrazione, per Notargiacomo, l’Astrazione povera, per Asdrubali).

Entrambi – fondamentalmente, profondamente  pittori –  esprimono un pensiero “forte”, che ha le sue radici nel pensiero delle avanguardie moderniste, fondato su una dialettica che origina nel loro lavoro molteplici, feconde tensioni, accompagnate dalla caduta delle barriere tra “astrazione” e “figurazione”, tra pittura e scultura, o opera-ambiente… Ciò conduce la forma e l’immagine a legarsi a una “sostanza conoscitiva” manifestamente plurivoca, animata da un’energia indomabile e irradiante.

Di fronte all’effetto ipnotico delle nuove tecnologie, la loro pittura resiste, caparbia e “inattuale”, oltre la questione dell’astratto e del figurativo, mettendo in scena una materia-forma vivente, le cui componenti fondamentali sono tensione e movimento.

Per vie diverse e secondo modalità diverse, la ricerca artistica di Asdrubali e quella di Notargiacomo garantiscono che permanga nel nostro orizzonte d’esistenza una zona di irresoluzione, una tensione carica di possibilità, che si oppone al naufragio definitivo dell’uomo nella meccanicità e nell’automatismo. Pur nelle naturali differenze generazionali, stilistiche, contestuali, entrambi orientano la propria ricerca sulla programmazione di un impatto sia percettivo che razionale sullo spettatore; studiano l’essenza stessa del fenomeno artistico per scoprire le zone dell’inesprimibile, gli spazi non ancora codificati. Tracciano un percorso problematico e drammatico, decisivo per comprendere i destini dell’arte in un’età di trasformazioni continue e di oscillazioni che paiono sottrarre tutto alla permanenza della forma.

Gianfranco Notargiacomo (Roma, 1945),  affascinato all’età di dieci anni dai dipinti di Burri e Vedova visti alla Quadriennale di Roma, ne assimilerà e metabolizzerà, nel progredire del suo percorso artistico, tutta la tragica potenza, non senza filtrarla attraverso una personalissima vena ironica e una forte componente riflessiva e cognitiva. Questa lo porterà – oltre che a laurearsi alla Sapienza in filosofia estetica con Emilio Garroni – ad approfondire costantemente il versante “mentale”, concettuale dell’arte, seppure rifiutando sempre cerebralismi e concettualismi. La sua intera opera è una riflessione sul senso stesso del fare arte, che dal pensiero filosofico si allarga al versante espressivo e gestuale, indagando senza posa da molti decenni, con affascinante lucidità, le infinite problematiche relative alla superficie pittorica e alla sua “corporeità”, al suo espandersi nello spazio.

“…pensavo a un quadro e lo consideravo fatto. Il resto era lavoro”: basilare affermazione di “poetica” dell’artista, che ne fa comprendere l’instancabile progettazione e sperimentazione, basate sulla priorità del momento progettuale e creativo.

Dopo le prime opere degli anni ’60, legate al clima Pop di quegli anni, negli anni ’70, nel pieno di quell’era concettuale in cui era stata pronunciata la condanna a morte della pittura, Notargiacomo è già un out sider: innovatore e precursore, sempre controcorrente. Nel 1971, la celebre installazione Le nostre divergenze – che costituì la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis – con duecento omini in plastilina colorata (ripresa nel 2009 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ) è un’operazione concettuale quanto mai raffinata, e insieme decisamente contrastante rispetto al gelido cerebralismo di certe derive del concettuale.

Già nel ’73, con gli Autoritratti esposti alla Galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani, nella doppia personale con Sandro Chia, riprende possesso della pittura, in deciso contrasto col clima dell’epoca (è significativo che all’inaugurazione non si presentasse nessuno). Il ritorno alla pittura è decisamente confermato nel ‘74, con i ritratti dei filosofi nella mostra Storia privata della filosofia (alla Tartaruga).

Nel ’79, poi, quando la temperie artistica che lo circonda comincia a dare segni di avvicinamento ad una pittura figurativa, compie un gesto rivoluzionario che lo porterà a diventare protagonista della cosiddetta Post-astrazione: inventa quella particolarissima concrezione pittorica nello spazio, quel corpo vibrante della pittura che è Takète, strutture-sculture che sono in realtà pittura che prende corpo nello spazio, dilata, frammenta e moltiplica le superfici trasformandole in volumi, palpita e si proietta nell’ambiente circostante . Takète diventerà una sorta di figura matrice di tutto il lavoro di Notargiacomo.

Nel ciclo Tempesta e Assalto, presentato per la prima volta alla Galleria La Salita di Roma nel 1980, il linguaggio dell’artista si orienta verso un’impetuosa astrazione gestuale che lo vede tra i protagonisti della Post-astrazione, nel momento in cui è dominante, nelle varie accezioni di “ritorno alla pittura”, l’interesse per il figurativo.

Il carattere di Tempesta e Assalto – traduzione letterale dell’espressione Sturm Und Drang, che designa il movimento pre-romantico tedesco – è mirabilmente sintetizzato nella formula espressa da Flavio Caroli in un testo del 1981: “Turner incontra Boccioni che incontra Pollock, che incontra l’impotente lucidità dei nostri giorni.”. Questa gestualità “neo-informale” è per il grande critico la declinazione assunta nel lavoro di Notargiacomo da ciò che lui teorizza come “Magico Primario” (a cui è dedicata una celebre mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1980), finalizzato “alla ricerca di entità archetipiche annidate da sempre nel cuore dell’uomo”.

Caroli ritorna sulla definizione di Notargiacomo come “neo-informale” nel recente libro I sette pilastri dell’arte di oggi (2021): “L’antesignano di una nuova avventura informale fu Gianfranco Notargiacomo, il quale concepì dapprima delle battaglie fantastiche e quasi giocose, poi intuì le possibilità di un Action Painting per così dire di terza generazione, dopo quello di Pollock e quello di Vedova.”

Nel corso dei primi anni ’90, queste turbinose Tempeste segnico-materiche generano ancora esemplari eccelsi, come Tempesta 1 (1992) per poi andare a placarsi, lasciando il passo a composizioni che esprimono, con un’essenzialità che non abbandona la sensualità, la sintesi tra potenza del gesto e lucidità del pensiero, come nel ciclo dedicato alla Storia astratta della filosofia, dove compaiono particolarissimi segni-oggetto dai cromatismi intensi e profondi, e la composizione è improntata a una geometria “imperfetta”, ammantata del fascino di un vissuto esistenziale. Questa ricerca si protrae nelle “Pitture estreme”: estreme per le cromie squillanti e decise, talora dissonanti; estreme per l’essenzialità della concezione geometrica, fondata su bande dalle tinte forti, alternate, spesso con inserti in legno o in metallo.

Negli ultimi anni, queste geometrie lasciano il campo a una nuova fase materico-gestuale, evidente nei grandi Tondi e nei Polittici, pervasi da un trionfo di rossi incandescenti. Placate le tempeste e gli assalti di un tempo, la ricerca sul corpo della pittura si assesta su un livello di intensa emozionalità, dove azione e contemplazione fanno tutt’uno.

Già in quella che è considerata la prima opera di GIANNI ASDRUBALI (Tuscania, Viterbo, 1955), cioè Muro magico, del 1979, è presente una dialettica gesto-vuoto-spazio su cui si fonderà tutta la sua ricerca futura: in una stanza vuota, il vuoto stesso determina una tensione che porta l’artista a un’azione, un gesto che genera uno spazio. “L’azione non è primaria ma consequenziale a questo stato di assenza – afferma l’artista –  In definitiva il vuoto è il motore assoluto.”

Una chiave tematica dell’opera di Asdrubali è dunque la dialettica del tratto, impresso da un movimento carico di energia pulsionale, con il vuoto, in cui l’energia del segno guizza impennandosi in vertiginosi fugati, in intrecci complessi di segni che in-formano il vuoto, dando origine allo spazio. In tutto ciò ha un ruolo fondamentale l’impossibile sintesi tra gli opposti, come il bianco e il nero, sui quali si gioca tutta la partita espressiva del primo Asdrubali: il bianco e il nero in tutta la loro capacità di generare tensioni, contrasti, ma anche di richiamarsi come per reciproca necessità.

Sin dall’inizio Asdrubali si impegna, come lui stesso scrive, nella “Massima concentrazione e massima costrizione di tutte le forze in gioco”, una concentrazione che mira a “raggiungere un unicum contraddittorio (…) nella sintesi di tutte le forze in gioco”.  Ma la sintesi di Asdrubali è ambigua e paradossale, perché le forze opposte e contrarie che si affrontano nel suo lavoro non si pacificano né si conciliano mai: l’energia condensata nelle sue opere è sempre originata da forze in conflitto ed elementi contrapposti.  Già Filiberto Menna, ideatore nei primi anni ’80 del movimento “Astrazione povera” – a cui lo stesso Asdrubali aveva aderito –  analizzando sia le opere che le dichiarazioni di poetica dell’artista : “La pittura di Asdrubali disegna una mappa di accadimenti conflittuali, è costellata di luoghi di contraddizione, di scontri tra forze sospinte da opposte sollecitazioni. L’artista non si sottrae alla loro azione, piuttosto si fa consapevolmente agire da esse, dà loro libero varco, accogliendole come momenti di feconda germinazione poetica.”

L’energia che si sprigiona dalla pittura-spazio di Asdrubali è dunque la risultante della messa in scena di una materia-forma perpetuamente interessata da tensioni differenziali aggreganti-disgreganti, nell’ambito di questa dialettica degli opposti: dall’emozionante disseminazione del Tromboloide del 1992 (che il critico Lorenzo Mango  attribuisce a “…un’attitudine mentale che esce definitivamente dal Novecento e dagli stili”)  all’impulso centripeto di aggregazioni segniche in opere come Tetratronico (1995-2001) o Zoide giallo (2001), all’illimitata espansione reticolare dei recentissimi Zacheus o Gomasse (2022). Le immagini rinviano l’una all’altra secondo diversi vettori: l’importante è lo spazio aperto sul vuoto. Il vuoto è insomma rinvenuto direttamente nell’esperienza del reale, e l’artista lo conduce ad assumere il volto della forma ambigua –Figura – che da esso scaturisce, e che paradossalmente ne testimonia la natura, pur trascinandola a trasgredirsi. In questo modo Asdrubali sovverte anche ogni definizione di “astrazione” o “figurazione”.

La violenta espansività della pittura gestuale di Asdrubali esprime una ininterrotta auto-interrogazione, nell’esercizio costante della sperimentazione: attraverso infinite varianti volte a scardinare le consuete coordinate spazio-temporali dello spettatore, l’artista lo proietta in un non-luogo generato dall’energia inarginabile del vuoto.

NOTA BIOGRAFICA

GIANFRANCO NOTARGIACOMO

Nasce a Roma, nel 1945. Manifesta una passione precoce per l’arte, che induce i genitori ad accompagnarlo, quando ha solo dieci anni, alla Quadriennale di Roma. Qui è letteralmente folgorato dall’opera di Emilio Vedova e Alberto Burri, che influenzeranno inizialmente la sua ricerca pittorica, insieme agli espressionisti astratti americani, in particolare Franz Kline.

A diciassette anni dipinge già a livello professionale, e vende i primi quadri. La forte inclinazione a indagare le ragioni profonde del fare arte lo spinge allo studio della Filosofia, in particolare dell’Estetica: allievo di Emilio Garroni, consegue la laurea all’Università La Sapienza di Roma.

Nel 1971 tiene la sua prima mostra personale – dal titolo Le nostre divergenze – alla galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis (Roma): oltre duecento omini in plastilina colorata Pongo, somiglianti all’artista, invadono la galleria in tutti i suoi spazi. Contemporaneamente viene invitato presso l’Accademia di Belle Arti de L’Aquila a lavorare al fianco di Paolo Scheggi come suo assistente, e dal successivo anno accademico è già titolare dei corsi di Psicologia della Forma e Teoria della Percezione.

Dal 1979 sarà titolare della Cattedra di Pittura presso la stessa Accademia; in seguito, dal 1984, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, e infine, dal 1999 e fino al 2011, a quella di Roma, dove nel 2015 riceverà il titolo di Maestro Accademico Emerito.

Nel ’72 entra a far parte del gruppo di artisti afferenti alla galleria romana La Salita di Gian Tomaso Liverani: le sue esposizioni in questa sede si affiancheranno a quelle alla Tartaruga. Nel ’73, nella doppia personale Autoritratti alla Salita (con Sandro Chia), in piena era concettuale, quando è di moda affermare la “morte della pittura”, rivendica la propria volontà di dipingere.

Contemporaneamente espone, sempre con Chia, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove la sua idea dell’uovo pierfrancescano pendente dal centro della cupola dell’edificio si può leggere come un’operazione concettuale volta a significare un addio definitivo al concettuale.

Nel 1973 partecipa alla VIII Edizione della Biennale de Paris, dove tornerà nel 1980 (XI Edizione). L’anno 1974 vede l’importante mostra Storia privata della filosofia, presso la Tartaruga: 10 tele con i ritratti dei filosofi considerati fondamentali – tra cui Croce, Husserl, Wittgenstein, Marx – a segnare un decisivo passo verso la riconquista di una pittura “totale”. Sempre per la Tartaruga, realizza nel ’76 una mostra dedicata a Freud: Famiglia Famiglia.

Tra il 1979 e il 1980 lavora a Takète e a Tempesta e assalto, serie di lavori per la galleria La Salita: qui il suo linguaggio matura definitivamente in un’astrazione dove la geometria si allontana dall’esattezza per farsi segno immediato di una potente energia psichica, vettorializzata in gesti impetuosi e “tempestosi”. Con questa particolarissima ricerca, Notargiacomo diventa uno dei protagonisti della post-astrazione.

Al 1980 risale l’incontro con il critico e storico dell’arte Flavio Caroli, con il quale stringe un’amicizia da cui ha origine una serie di mostre (a partire da Magico Primario, presso il Palazzo dei Diamanti a Ferrara, 1980), e di viaggi all’estero, come quelli negli Stati Uniti (Chicago, New York), a Londra, o in Australia per la Biennale di Sydney.

In questi primi anni ’80, Notargiacomo ha anche modo di conoscere personalmente uno degli “amori” della sua infanzia e adolescenza: Emilio Vedova, con il quale instaura un intenso rapporto di scambio intellettuale. Sarà proprio Vedova a segnalarlo per il Premio della Presidenza della Repubblica all’Accademia Nazionale di San Luca.

Nel 1982 è invitato da Luciano Caramel alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale, dove espone due tele di grandi dimensioni: 1950 Nuvolari e Omaggio a Lorenzo Lotto (oggi rispettivamente al Macro di Roma e alla Pinacoteca di Jesi). Nel 1986 Maurizio Calvesi lo inserisce nella sezione Sculture all’aperto alla Biennale di Venezia, con un Takète di sei metri d’altezza, in metallo dipinto a smalti industriali. (Parteciperà successivamente, su segnalazione del filosofo Giacomo Marramao, anche all’Edizione LIV, nel 2011, presso il Padiglione Italia, all’Arsenale).

Tra le mostre personali di questi anni si ricordano: Castel Sant’Elmo a Napoli (1981), curata da Flavio Caroli; Officine & Ateliers, Casa del Mantegna, Mantova (1982), dove realizza la prima delle grandi opere della serie Nuvolari, oggi proprietà della Provincia di Mantova. Altre mostre: Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes di Napoli (1983); Gianfranco Notargiacomo.

Rosso d’Oriente, presentata da Maurizio Calvesi, al Centro di Cultura Ausoni di Roma (1990); Museo Laboratorio dell’Università La Sapienza di Roma (1995), curata da Lorenzo Mango; Notargiacomo.

Opere recenti, al Palazzo Reale di Milano (1998), curata da Ada Masoero. Assai numerose le mostre collettive, anche internazionali, a cui l’artista è invitato in questi anni, tra cui Arte Italiana 1960-1982, Hayward Gallery, Londra (1982); Arte italiana 1960-1985, Frankfurter Kunstverein, Francoforte (1985); Arte Italiana, Museo di San Paolo del Brasile (1986); Postastrazione, a cura di Flavio Caroli, Rotonda di via Besana, Milano (1986); Biennale di Sydney (1988); Italian Contemporary Art, Taiwan, Museum of Art (1990).

Nei primi anni del nuovo Millennio si colloca la mostra Roma Assoluta, al Museo di Roma in Palazzo Braschi (2004), dove espone un unico enorme, maestoso dipinto su tavola con soggetto Roma vista dall’alto, realizzato nel nuovo studio, una ex falegnameria al Mandrione (area del quartiere Tuscolano, di pasoliniana memoria), vicino ai resti di un acquedotto romano.

Nello stesso 2007 hanno luogo la personale al Centro Cultural Borges di Buenos Aires – dal titolo Post-Abstractismo – e un’importante antologica – dal titolo Sintetico – alle Scuderie Aldobrandini in Frascati (a cura di Barbara Martusciello), a cui segue nel 2009 quella intitolata Le nostre divergenze 1971-2009 (a cura di Mariastella Margozzi), alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. In questi anni Notargiacomo inizia a lavorare ai grandi Tondi, dai colori accesi e spesso dissonanti, oltre a intensificare la ricerca sui Takète, sperimentandone varie dimensioni.

Nel 2011 è in Cina, dove espone al Museo Heng Yuanxiang di Shanghai. Il Forte Malatesta presso Ascoli Piceno ospita nel 2013 un’altra antologica, A grandi linee (curata da Mariastella Margozzi e Stefano Papetti), che ripercorre l’attività di Notargiacomo dal 1971 al presente: dalla folla di omìni in plastilina, ai Takète, ai grandi Tondi. Tra il 2019 e il 2020 si confronta con le opere della collezione della Galleria d’Arte Moderna “Giovanni Carandente” di Spoleto, nell’ambito della mostra Notargiacomo e la collezione della GAM di Spoleto (a cura di Marco Tonelli), nella sede della collezione, a Palazzo Collicola.

GIANNI ASDRUBALI

Nato a Tuscania (Viterbo) nel 1955, Gianni Asdrubali frequenta l’Accademia di Belle Arti di Viterbo, dove è allievo di Luigi Boille, maestro dell’Informale segnico. Sin dall’avvio della sua ricerca artistica, Asdrubali concentra la sua attenzione sull’idea di vuoto come nucleo originario di ogni creazione.

Nel corso degli anni questa ricerca è venuta concretizzandosi nell’immagine di uno spazio frontale senza dimensione, che comporta la compressione e la fusione di tutti gli opposti in un’immagine generativa e immediata. Tutto ciò è già contenuto nel suo primo lavoro del 1979: Muro Magico, fondamento di tutta la ricerca a venire.

Asdrubali espone per la prima volta nel 1982, alla mostra collettiva Lapsus, alla galleria La Salita di Roma, che nel 1985 gli dedicherà una personale. Sempre nei primi anni ’80 conosce il critico e curatore Flavio Caroli, che lo inserirà in diverse mostre, tra cui l’Australian Biennale of Sydney, National Gallery of Victoria, Sydney, 1988. La prima mostra personale di Asdrubali si tiene alla Galleria Artra di Milano nel 1984.

In contrasto con il clima dominante di quegli anni (transavanguardia e post-moderno), entra a far parte del gruppo Astrazione Povera, fondato sulle teorie del critico Filiberto Menna, partecipando a una serie di mostre in gallerie d’arte e spazi pubblici.
Il 1988 è per lui un anno di svolta: invitato da Giovanni Carandente alla Biennale di Venezia, espone Eroica verde, lavoro che segna definitivamente l’uscita dal gruppo dell’Astrazione Povera.

Nel 1992 realizza il Tromboloide, un’opera che viene presentata per la prima volta alla galleria Il Milione di Milano e che segna un momento importante del suo lavoro, nella definizione di uno spazio sempre più compatto e atomico.

Il critico Lorenzo Mango gli dedicherà un importante testo nel 1994, in occasione della personale di Asdrubali alla Galleria Allegrini di Brescia.

Nel 1993 espone al Grand Palais di Parigi, nella collettiva La Fabbrica Estetica.

Nel 1996 allestisce una grande mostra personale alla Galleria d’Arte Moderna di Spoleto Tra il 1997 e il 2000 le sue opere figurano in una serie di mostre volte a documentare l’arte italiana moderna e contemporanea, tra cui : Museum Rabalderhaus, Schwaz; DuMont Kunsthalle, Colonia; Galleria d’Arte Moderna di Bologna; Städtische Galerie, Rosenheim; Farnesina, Ministero degli Affari Esteri, Roma. Nel 2001 l’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt gli dedica una un’ampia retrospettiva: Gianni Asdrubali.

Dynamische Texturen im Raum (Strutture dinamiche nello spazio), dove tutto lo spazio del museo viene annullato e sostenuto dall’opera d’arte: l’opera non è sorretta da nessun contesto, essa stessa è il contesto.

Nel 2001 e nel 2004 allestisce con Enrico Castellani due doppie personali: alla Galleria Invernizzi di Milano e alla Galleria Santo Ficara di Firenze.
Nel 2003, con l’artista e designer Pamela Ferri costituisce il gruppo ZAMUVA, che ha come obiettivo il conseguimento di una nuova spazialità, fondata sulla coscienza del vuoto come principio generatore di qualunque azione dotata di senso.

A questa nuova spazialità, denominata “Spazio frontale”, è dedicato un libro a cura di Bruno Corà (2005, Prearo Editore, Milano). Nel 2007 il gruppo Zamuva partecipa al Festival della Scienza di Genova (sezione La matematica scoperta) con il progetto di Pamela Ferri Zumoide ; nel 2010 presenta, con Bruno Corà, il progetto Zudynamic al Triennale Design Museum di Milano, in occasione del Salone del Mobile. Nel 2011, Asdrubali partecipa nuovamente alla Biennale di Venezia (Padiglione Italia), con una nuova opera appartenente al ciclo Steztasetss.

Nel 2012 realizza nella bottega Gatti di Faenza una serie di grandi opere in ceramica.

Nel 2018, a Roma, dà vita a una performance pittorica dal vivo al MACRO, mentre il Museo Carlo Bilotti gli dedica l’importante retrospettiva curata da Marco Tonelli, in cui sono esposte alcune delle opere più significative del suo iter artistico. Lo stesso curatore, in veste di direttore artistico della Galleria d’Arte Moderna Giovanni Carandente di Spoleto, organizza nel 2020, nella sede di Palazzo Collicola, la personale Surfing with the Alien.

Nel 2021, si inaugura a Milano la mostra Interazione inconsulta, nella doppia sede di Arte Invernizzi e di Artra, gallerie che hanno in vari modi sostenuto la ricerca di Asdrubali nel corso degli anni .

Mostra: NOTARGIACOMO – ASDRUBALI . DITTICO
Artisti presenti: Gianfranco Notargiacomo , Gianni Asdrubali
A cura di: Silvia Pegoraro
Sede: Galleria d’Arte Marchetti
Indirizzo: Via Margutta 8, 00187 Roma
Periodo espositivo: 27 aprile – 24 giugno 2023
Inaugurazione: giovedì 27 aprile 2023 ore 18
Ingresso: libero
Catalogo: Grafiche Turato Edizioni, Padova
Orari: LU 16.30-19.30; MAR-SA  10.30-13.00 / 16.30-19.30
Informazioni: tel. 06 3204863
www.artemarchetti.it
info@artemarchetti.it

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