Presentazione della monografia Luigi Boille – Il segno infinito, a cura di S.Pegoraro

“E’ una scrittura la mia, in realtà, una scrittura che mi definisce, che mi esprime, che dà elementi di appoggio alla mia vita: tracce della mia forma psichica, del mio essere individuo…”

Queste parole del pittore  Luigi Boille rendono in modo assolutamente efficace il carattere della sua arte, che si sviluppa, lungo tutta la propria parabola creativa, come un’affascinante ricerca segnico-calligrafica, come l’esplorazione e lo svelamento di un universo visivo abitato da una misteriosa grafia asemantica.

E’ proprio l’affinità sostanziale e metaforica tra scrittura e disegno – scrittura semantica e scrittura asemantica – a costituire uno dei tratti più affascinanti della poetica di questo grande pittore, tra i maggiori artisti europei del novecento – benché tra i meno studiati – che ha portato l’aura potente e leggera del suo storico informale segnico sin dentro il terzo millennio.

Mormorio di segni, saettanti, brulicanti o  fluttuanti nel vuoto, la pittura di Boille ritma la scrittura a-semantica del tratto, del tocco, della sfumatura. Secondo Barthes, a far sorgere congiuntamente la scrittura e l’arte nella storia dell’uomo è stato proprio il ritmo,  la variazione ritmica di immagini  in-significanti: i segni erano dei ritmi, non delle forme .

Per questo “l’astratto è all’origine del grafismo, la scrittura all’origine dell’arte” (Roland Barthes). L’artista giunge senza dubbio a maturare questa consapevolezza anche grazie al quotidiano confronto con la moglie, Nicole Calendreau, autorevole psicologa e studiosa di grafologia, da sempre sottile e perspicace analista del rapporto tra arte e scrittura.

La sua riflessione sulla natura della propria arte e sul suo dispiegarsi nel mondo è, del resto,  non di rado consegnata alla parola, a una scrittura talora limpidamente diaristica, talora poetica, talora  narrativa (come lo splendido scritto in ricordo del grande critico Michel Tapié, fino ad oggi inedito), rappresentata da alcuni testi di Boille qui pubblicati.

Da questi emerge una passione per il binomio poesia/pensiero, che ha sempre portato Boille a dialogare con i poeti: come il poeta surrealista brasiliano Murilo Mendes che, insieme a Cesare Vivaldi, lo presentò alla Biennale di Venezia del 1966, o come Ezra Pound, con cui collaborò alla realizzazione di un libro d’artista con sette poesie di Pound e sette litografie di Boille (Omaggio a Ezra Pound, Rapallo, 1971). O ancora, come René Char, in due  versi del quale Boille ha riconosciuto il senso di tutta la sua pittura: “Si nous habitons un éclair, /  il est le coeur de l’éternel”.

Si comprende allora come una monografia/catalogo che documenti il suo lavoro – come questa, realizzata dal Comune di Pordenone in occasione della grande antologica dell’artista, in corso fino al 2 ottobre prossimo alla Galleria Civica Armando Pizzinato – possa acquisire tutte le potenzialità “letterarie” del libro, quale mitico  e metaforico punto d’incontro tra immagine e scrittura .

In questo senso il progetto grafico di Roberto Duse realizza una perfetta simbiosi tra la documentazione visiva dell’opera di Boille, i testi contenuti nella monografia e la veste grafica nella quale viene presentato tutto il materiale, trasformando un libro d’arte in vero e proprio libro d’artista, coerente con lo spirito e la poetica di Boille.

Book  as ArtworkLibro come opera d’arte, come suonava il titolo di un famoso testo di Geermano Celant, edito in lingua inglese  nel 1971,  in piena esplosione-espansione dei mezzi d’informazione  e del pensiero di McLuhan, volto a evidenziare quanto e come l’innovazione tecnologica riesca a modificare l’immaginario collettivo e di conseguenza i canoni e il gusto estetici.

Luigi Boille – Il segno infinito, è un libro concepito come luogo di ricerca, non solo come documentazione di un’opera d’arte esistente o esistita altrove. Il libro stesso è anche un’opera. Un’opera che racconta la propria creazione ed esibisce il modo in cui è stata scritta, disegnata, fotografata, stampata, confrontata e pensata. Il libro è, dunque, un  luogo autosignificante, è opera che riflette e discute il proprio statuto estetico/documentario, e che richiede una partecipazione attiva da parte del destinatario (lettore/osservatore): mira infatti  a dilatare le potenzialità percettive e sensoriali, oltre che concettuali, inerenti al campo artistico, nella fattispecie  all’universo estetico di Luigi Boille.

Il quale scriveva, ancora: “La matrice del mio lavoro è il segno, segno che può moltiplicarsi all’infinito, oppure essere isolato, fluttuare nello spazio… All’inizio della mia ricerca, la materia nasceva da se stessa, e il segno era dentro la materia, era invisibile, non ancora protagonista”. Questo segno “imprigionato” nella materia certo aveva incantato  immediatamente anche Michel Tapié, leggendario teorico dell’Informale , che aveva riconosciuto all’inizio degli anni ’50,  nella pittura di Boille, la potenza creativa di quell’“art autre” di cui aveva parlato nel celebre libro omonimo del 1952.

Molti altri critici, fra i più autorevoli della storia dell’arte del Novecento,  lo avevano seguito sulla via di un’intensa e appassionata analisi e valutazione del lavoro dell’artista di origine pordenonese: nomi come Lionello Venturi, Pierre Restany, Guido Ballo, Cesare Vivaldi, Filiberto Menna, Nello Ponente, Lorenza Trucchi, Enrico Crispolti, Simonetta Lux, Giulio Carlo Argan, al quale si deve un’affermazione-chiave per intendere l’opera del maestro friulano: “Boille, sapendo che la pittura è in crisi, si ostina a fare soltanto pittura, la pittura più pura possibile” (G.C. Argan, 1973).

Nella monografia  presentata a Pordenonelegge 2016  c’è anche la più completa antologia di testi critici su Luigi Boille mai comparsa in una pubblicazione: un viaggio – dagli anni Cinquanta al 2015 –  all’ascolto delle più importanti voci critiche che hanno parlato di Boille. Un mosaico di testi che non solo fa capire l’importanza dell’opera di Boille nel contesto storico e sociale in cui è nata e si è sviluppata,  ma che restituisce anche un’immagine piuttosto completa e complessa della critica d’arte come genere letterario specifico, dal secondo Novecento ad oggi.

Una panoramica che ci fa comprendere come il critico d’arte si contrappone in qualche modo allo storico e al teorico, impegnandosi nella dimensione dell’attualità e dell’individualità, utilizzando, sì, principi teorici e nozioni storiche, ma in una prospettiva che tiene sempre conto della particolarità e concretezza dell’opera.

Quest’antologia di testi dedicati a Boille da grandi nomi della critica esemplifica bene anche  il fatto che la critica d’arte possa di volta in volta  integrarsi ad altre discipline (estetica, teoria artistica, storia dell’arte, psicologia, sociologia, fenomenologia esistenzialista, linguistica strutturalista, semiologia, teoria dell’informazione) ed intrecciarsi con altri generi (poesia, invenzione romanzesca, biografia, saggio, lettera, diario), rendendo ben evidente quell’interdipendenza tra parola e immagine, scrittura e dimensione visiva, che abbiamo visto essere il fulcro dell’arte di Boille, come di altri grandi artisti.

Anche per questo, in un’epoca  che vede il trionfo proliferante dei media, in cui il libro è stato dato più volte sul punto di scomparire, il libro Luigi Boille – Il segno infinito, è stato concepito pensando alla centralità insostituibile del Libro nella cultura contemporanea: esso raggiunge in un certo senso l’apoteosi proprio quando pare annullato dall’universo virtuale dell’informatica.

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